Bhrâmarî, il rumore dell'ape.
- samuele rosso
- 30 gen 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Il respiro che produce un ronzio.
La parola bhrâmarî in sanscrito significa “ape”.
In questa tecnica di prânâyâma (cioè di controllo del respiro ) il passaggio dell’aria produce infatti un suono simile a quello che fa l’insetto volando.
Bhrâmarî è inoltre il nome della “Dea delle api nere”, una delle manifestazioni di Âdi-Shakti, la divinità femminile per eccellenza nel pantheon induista, intesa come suprema energia e madre dell’universo.
Nel racconto mitologico, durante una battaglia contro i demoni, schierata al fianco di Shiva, Âdi-Shakti cresce fino a raggiungere dimensioni gigantesche: dalle sue quattro mani emana sciami di api nere, mentre rivolta al cielo invoca vespe, calabroni, termiti, zanzare ed altri insetti che in uno sciame immenso invadono l'orizzonte per unirsi a lei e generare la forma di Bhrâmarî Devî, la "Dea delle api".

Bhrâmarî Devî, la "Dea delle api nere".
Immagine tratta da Wikipedia,
Rama19920 - Own work
File: Bhramari devi goddess of the black bees shrimad wg32.jpg
Created: 23 September 2018
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Curiosamente, le api nere fanno parte della famiglia delle api carpentiere, caratteristiche per le loro nidificazioni negli alberi e nelle strutture di legno. Sono di grandi dimensioni, simili ai cosiddetti bombi, molto rumorose ma solitamente poco aggressive. I maschi sono privi di pungiglione. La loro caratteristica principale rimane quindi il forte ronzio prodotto e forse proprio in tal senso vengono associate a questa tecnica di respirazione.
Il suono prodotto nella pratica di Bhrâmarî ha un effetto calmante sulla mente ed induce una concentrazione orientata verso l'interno, libera dalle distrazioni sensoriali provenienti dall'ambiente circostante.
Infatti, per l'esecuzione si chiudono gli occhi e le orecchie. Così facendo la percezione del suono prodotto all'interno della bocca è ottimale.
Sedersi in una posizione a gambe incrociate od in ginocchio, oppure su di una sedia: l'importante è essere comodi e mantenere la schiena diritta ma senza creare rigidità nel corpo.
Portare la mani ai lati della testa.
Si utilizzano quindi i pollici per tappare le orecchie, senza inserire le dita ma spingendo delicatamente il trago a chiudere il condotto uditivo. Il trago è quella parte di cartilagine esterna dalla forma vagamente triangolare che nasconde e protegge il condotto uditivo.

La chiusura del canale uditivo viene effettuata spingendo delicatamente il trago con il pollice.
Le altre dita vanno unite, distese e disposte a coprire le cavità oculari. In questo modo, chiudendo occhi ed orecchie, si chiude di fatto la comunicazione dei sensi di vista ed udito con l’esterno. Si limitano le distrazioni sensoriali. I sensi vengono così orientati verso l’interno ed anche la concentrazione si può focalizzare interiormente.

Le altre dita vengono disposte a chiudere le cavità oculari.
La respirazione viene eseguita attraverso il naso ed è perciò importante che la posizione delle mani non disturbi il passaggio dell’aria nelle narici.
Si inspira cercando di rendere l’inspirazione lenta a profonda, senza forzare né raggiungere il proprio limite. Espirando (sempre dal naso) si produce un suono simile ad un ronzio, come a pronunciare una M prolungata: “mmm…”.
Come già menzionato, si espira attraverso il naso ma il suono viene prodotto nella bocca, tramite la vibrazione indotta dal passaggio dell’aria nella parte posteriore del palato.
Si continua in questo modo, inspirando in maniera lenta e profonda ed espirando mentre si produce il suono. Questo ronzio è simile a quello prodotto dalle api.
Ci si esercita nella pratica fino a quando si riesce a riprodurre il suono senza difficoltà, rendendo il ciclo di inspirazioni ed espirazioni fluido e continuo.
Nei testi tradizionali si consiglia di esercitarsi con la pratica di riprodurre il suono nella sola espirazione, per poi, con l’esperienza, imparare ad eseguirlo anche durante l’inspirazione.
È molto più difficile riuscire a riprodurre il suono inspirando. Si può provare a farlo inspirando da una sola narice, chiudendo l’altra con una leggera pressione del mignolo. Provare a cambiare narice per vedere se si ottengono risultati migliori.
I testi evidenziano come il suono prodotto con l’inspirazione sia differente da quello prodotto con l’espirazione: il primo assomiglia al ronzio più greve dell’ape maschio, il secondo a quello più sottile dell’ape femmina.
Nella maggior parte delle tradizioni Bhrâmarî viene comunque insegnato e praticato riproducendo il suono solamente espirando. Importante è piuttosto cercare di rendere il ronzio regolare, sottile, piacevole.
Si consiglia di praticare inizialmente per pochi minuti per poi aumentare gradualmente con il tempo e l'esperienza.
Da evitarsi in caso di infezioni alle orecchie o ai canali uditivi. È sconsigliata la pratica in posizione supina, meglio da seduti. Alcuni testi indicano di astenersi da questo prânâyâma in caso di gravidanza o durante il ciclo mestruale.
Si ritiene che Bhrâmarî produca una vibrazione nella bocca che va a stimolare in particolare le ghiandole pineale e pituitaria, situate nel cervello e responsabili della secrezione di ormoni regolatori di molte funzioni nell'organismo tra cui il metabolismo e la regolazione del ciclo sonno-veglia. Questo spiegherebbe perché la pratica induca uno stato di rilassamento e di calma.
Inoltre, il suono prodotto costituisce una sorta di "mantra interno" che rallenta il movimento costante dei pensieri e favorisce la concentrazione sul respiro.
Il solo atto di mantenere l'attenzione sulla respirazione fa sì che inspirazione ed espirazione diventino spontaneamente più lenti e profondi, determinando il rallentamento di altre funzioni nel corpo, delle percezioni e dei pensieri.
Si posano così le basi per una condizione di calma generale nel corpo e nella mente.
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