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Kapâlabhâti, il respiro che purifica la mente

Aggiornamento: 26 set 2021

La pratica di Kapâlabhâti viene tradizionalmente inserita tra quelle di purificazione, i sei shatkarman, ma viene spesso indicata anche come prānāyāma.

Consiste nell' eseguire una sequenza di espirazioni in modo forzato, senza esagerare, attraverso il naso e sfruttando la spinta del diaframma.

L'inspirazione avviene invece in maniera spontanea.

L'attenzione viene quindi posta sulla sola espirazione e al contrario delle altre pratiche di prānāyāma, infatti, per eseguire Kapālabhāti si comincia con una inspirazione spontanea.

La respirazione avviene prevalentemente a livello addominale.


Il ritmo sostenuto di espirazione ed inspirazione conferisce un senso di freschezza nei seni nasali e nelle narici: da questo deriva probabilmente il nome di "lucida cranio, cranio lucente". Viene pertanto definito come il "respiro che purifica la mente".

Agisce sull' apana vayu (il flusso di prana associato alle funzioni di espulsione dall'organismo) e meno sul prana vayu (il flusso di prana associato alla funzioni di assimilazione).

Aiuta ad eliminare le tossine e le distrazioni sensoriali.

Aumenta l'energia, rinforza il sistema nervoso, aiuta a fermare visioni e pensieri.

Stimola il lavoro del fuoco Agni verso l'alto, massaggia i visceri, purifica le vie respiratorie ed energetiche.

Kapālabhāti è pertanto indicata all'inizio di una seduta di prānāyāma o di meditazione.


Si pratica da seduti in una posizione comoda, su di una sedia o a gambe incrociate od in ginocchio, mantenendo la schiena diritta ma senza creare rigidità.

Si può cominciare a praticare per 5-10 respirazioni per poi passare gradualmente a 20 ed arrivare ad un massimo di 50 per gli uomini e 30 per le donne, eventualmente ripetute per 3 cicli.


Si consiglia di praticare sotto la supervisione di un insegnante qualificato e di interrompere qualora sorga qualsiasi disturbo o disagio.

 
 
 

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