Archetipi, simboli ed elementi psicosomatici nello Yoga
- samuele rosso
- Apr 24, 2022
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L'aspetto simbolico ha una grande importanza nelle pratiche dello Yoga.
Lo Yoga ha origine nel contesto culturale sviluppatosi a partire dal 3000 A.C. - 2500 A.C. nella pianura indo-gangetica. Qui si mescolarono elementi dell'autoctona civiltà dravidica e di quella indoeuropea (popoli Arii), migrata nel nord dell'India in cerca di nuovi pascoli per il proprio bestiame. Già nei reperti datati intorno al IV sec A.C. e provenienti dalla città di Harappa e Mohenjo Daro (odierno Pakistan) si possono riscontrare incisioni con figure e simbologie peculiari dei sistemi dello Yoga così come li conosciamo ancora oggi.
In questi sistemi troviamo però anche immagini e significati che superano le diversità culturali e che sono comuni a tutti gli esseri umani. Possiamo pertanto definirli "archetipi", modelli comprensibili ed innati in ogni individuo perché presenti nell'inconscio collettivo, cioè in quel bagaglio psichico di valori e di simboli comune a tutta l'umanità, istintivo ed indipendente dall'esperienza individuale.
Per esempio, alcuni elementi della natura assumo valenze significative per tutte le popolazioni, indipendentemente a quale angolo del globo si guarda.
Questi archetipi hanno un ruolo molto importante nella cultura dello Yoga.
Basti pensare agli âsana, alle posizioni assunte cercando di rappresentare una figura e di interpretarne le valenze simboliche. Facendo riferimento per esempio alla posizione dell'albero e cercando con un preciso adattamento del corpo di rappresentarlo, sorge istintivamente la riflessione sui suoi significati e valori. In questo caso, dal praticante saranno percepite ed interiorizzate caratteristiche proprie del "concetto-albero", come il radicamento, la robustezza e l'elasticità del tronco, lo slancio e l'apertura verso l'alto, eccetera.

L'archetipo presente in un âsana è il modo in cui questa pratica agisce sulla nostra psiche e non solamente sul corpo.
Questo significa che ogni posizione fa scattare qualche cosa in noi, nel nostro inconscio.
Eseguendo un âsana si "esegue" comunque anche l'archetipo associato: lo si raffigura, lo si riproduce e rappresenta, così come un attore che interpreta un personaggio e si immedesima nelle sue caratteristiche.
Proprio per questo è importante eseguire correttamente la posizione non solo dal punto di vista anatomico ma anche per quanto riguarda l'attitudine e la partecipazione.
Eseguendo la posizione del gatto, si pensa davvero a come è fatto ed a cosa fa un gatto, cercando di immedesimarsi al meglio e di riprodurne le caratteristiche. Ci si auto-convince di essere un gatto, proprio come fanno i bambini quando giocano: si sentono davvero come se fossero l'animale a tutti gli effetti. Le qualità del gatto in quel momento saranno anche nostre: durante la pratica ci si ripete per esempio "la mia schiena è forte e flessibile come quella di un gatto". Può sembrare ridicolo ma non lo è. Fa parte del processo di interiorizzazione e consapevolezza nel momento presente.
La capacità di convincere noi stessi non cambierà ovviamente la nostra anatomia ma sicuramente avrà un'influenza a livello inconscio e quindi sulla postura e sui blocchi di origine psicosomatica.

Il movimento del gatto/tigre: "la mia schiena è flessibile come quella di un felino".
A volte, nella pratica di un âsana, vale la pena cominciare proprio dalla rappresentazione dell'archetipo piuttosto che dall'allineamento anatomico: "eseguo la posizione del triangolo e adesso cerco di rappresentare davvero un triangolo con il mio corpo. Per un attimo, divento un triangolo".

Alcuni dei triangoli che il nostro corpo raffigura durante la pratica di
Trikona-âsana.
Questa rappresentazione coinvolge il corpo non solo nella sua globalità ma soprattutto nelle parti di cui è composto. Quando in un âsana si percepiscono rigidità o fastidi in un punto del corpo, può essere utile chiedersi il perché, andando oltre alle spiegazioni anatomiche e strutturali ed osservando tutti gli elementi che costituiscono la nostra persona .
Osservando il corpo da questa prospettiva potremmo notare limitazioni che non sono riconducibili solamente a particolarità anatomiche ma che rientrano nella dimensione dei rapporti psicosomatici, cioè delle conseguenze fisiche ad una causa psicologica.
Pertanto è bene non limitarsi ad osservare il piano fisico e la sua risposta alla pratica dello Yoga ma cercare di indagare più in profondità, nella condizione emotiva.
Siccome siamo esseri complessi, ognuno con il suo vissuto ed il suo modo di interpretare e rispondere alle esperienze, è difficile e limitante generalizzare sulla relazione tra stato emotivo e funzionalità anatomica.
Nella pratica degli âsana ci sono però delle linee guida che possiamo considerare quando incorriamo in disfunzioni e disturbi. Non con l'intenzione di voler a tutti i costi cambiare il nostro corpo e la nostra pratica ma piuttosto per accettare i limiti ed imparare ad interpretare il nostro corpo.
Generalmente (ma non sempre!) si hanno per esempio il tipo di associazioni descritte di seguito.
Problemi alle ginocchia: piedi e ginocchia rappresentano un simbolo di orgoglio, di un freno a mettersi in discussione e della paura del cambiamento. Sono espressione di un certo tipo di insofferenza ed inconsciamente potrebbero associarsi a dei pensieri come: "mi sento bloccato (nelle gambe) mentre io vorrei andare, anzi, io devo andare".
Le spalle sono intuitivamente associate alla sensazione di portare dei pesi: le responsabilità ed i problemi che la vita ci presenta gravano su di noi. L'atteggiamento posturale di questa percezione è facilmente riscontrabile nelle spalle curve, chiuse, la schiena che tende a piegarsi in avanti e la respirazione che di conseguenza diventa meno ampia, meno fluida.
Sono atteggiamenti comuni, risposte naturali a situazioni esterne, niente per cui sentirsi "carente di-" o "non in grado di-". Diventarne consapevoli aiuta però a non cronicizzare posture disfunzionali.
Anche per questo nelle posizioni dello Yoga si insiste sull'apertura del petto e delle spalle.
Le braccia sono un simbolo dell'affettività: le usiamo per abbracciare, per proteggere gli altri o noi stessi. Rappresentano inoltre la potenzialità, la capacità di agire.
Le mani costituiscono un' estensione della mente e del linguaggio: attraverso le mani ci esprimiamo ed eseguiamo una moltitudine di cose. Simboleggiano azioni come "fare e dire".
La postura delle mani e delle braccia è spesso un riflesso di quello che pensiamo e sentiamo.
Quando percepiamo l'impossibilità di agire o di esprimerci, posso sorgere disturbi psicosomatici ai polsi, alle dita delle mani, alle spalle.
Le problematiche nella mobilità del collo possono essere legate alla nostra capacità o volontà di guardarci intorno, all'ampiezza della nostra visione. Il collo rappresenta inoltre un tratto di unione tra la testa ed il resto del corpo, tra la mente ed il fisico.
Inconsciamente si può desiderare di interrompere questa connessione, magari in presenza di pensieri e sensazioni persistenti e spiacevoli, andando a somatizzare con cervicalgia o rigidità.
Questi sono solo alcuni esempi dei fattori psicosomatici sui quali possiamo indagare attraverso la pratica dello Yoga.
A livello di energia sottile, si ritiene che gli âsana lavorino direttamente sui 5 kosha, gli involucri o corpi sottili che compongono quello che definiamo come "Io".
I kosha costituiscono la nostra persona dal livello più grossolano (fisico) a quello più sottile (psichico). In quanto esseri umani, la nostra esistenza si manifesta a diversi livelli: fisico, energetico, mentale, coscienziale e spirituale.

Rappresentazione grafica dei kosha.
I 5 kosha si sviluppano attraverso il corpo, le energie vitali che lo alimentano, la mente, l'intelletto (o coscienza) ed il Sè.
La pratica degli âsana influisce su tutti questi livelli e lavora a partire dal livello più "chiuso", più bloccato: se c'è per esempio un problema sul livello fisico, lo âsana lavorerà su quello per primo.
Tutta la nostra postura, il modo di muoverci e di "stare" (in piedi, seduti, eccetera) può essere interpretato attraverso una lente psicosomatica. A volte questa chiave di lettura rischia però di essere forzata e fuorviante, in quanto molti sono i fattori personali e particolari che possono influire.
Nel contesto dello Yoga possiamo comunque utilizzare queste linee guida come un riferimento per instaurare un dialogo più profondo con il corpo ed imparare ad ascoltarne i messaggi.
Spesso tendiamo a dimenticarci del corpo, a curarne piuttosto la forma visibile ed a trascurare le sensazioni percepibili, se non quando fastidiose, dolorose o (all'opposto) particolarmente piacevoli. Lo Yoga ci offre uno spazio in cui coltivarne la consapevolezza.
In una relazione più attiva con il nostro corpo possiamo imparare a cogliere i suoi messaggi ed a percepirne le sensazioni sottili.
Si dice che "il corpo non mente". Proviamo pertanto ad ascoltarlo.
Possiamo sviluppare la capacità di valorizzare il potere simbolico degli archetipi presenti nelle posizioni: in questo modo la pratica degli âsana può influire sul livello inconscio ed aiutare a mitigare le risposte psicosomatiche.
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