Lo sguardo nello Yoga
- samuele rosso
- Jan 2, 2022
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Gli occhi. Il modo di guardare. La visione.
La fine dell'anno è sempre un'occasione per dare uno sguardo ai mesi passati ed incamminarsi verso quelli a venire. Per tirare le somme e per fare nuovi propositi.
Al di là dei riferimenti offerti dal calendario, la fine dell'anno arriva poco dopo il solstizio d'inverno, che simbolicamente rappresenta una fase di rinnovamento: il periodo più buio è finito e le ore di luce ricominciano ad aumentare.
Un nuovo ciclo ha inizio.
È appunto il momento per dare un'ultima occhiata all'anno passato, con tutto quello che ha costituito. Per poi voltargli le spalle e rivolgere lo sguardo all'anno nuovo.
Con fiducia.
Uno stimolo per riflettere sull'importanza e sul significato dello sguardo nella pratica dello Yoga.
Già nella definizione dello Yoga si può trovare un riferimento.
Lo Yoga è una delle sei filosofie tradizionali dell'India, indicate con il termine darshana. Darshana in sanscrito significa "vista, visione, filosofia".
Infatti lo Yoga non è solamente un insieme (tra l'altro molto vasto e variegato) di pratiche, ma è proprio una visione, un modo di concepire sé stessi ed il mondo.
Praticando, si cerca di portare calma e stabilità nel corpo e nella mente e queste condizioni cambiano appunto il modo di guardare.
Praticando, si porta l'attenzione al respiro, alle sensazioni, ai pensieri.
Si cambia prospettiva, modo di vedere. Si diventa testimoni, osservatori di sé stessi.
Quando si è sul tappetino si riesce (a volte, forse) a cambiare il nostro punto di vista, a guardare a noi stessi ed al mondo in un modo diverso, in modo magari più calmo e distaccato. Ma senza diventare indifferenti.
La meditazione, che sia seduta o in movimento, è anche osservare la propria mente, guardare all'interno.
Lo scopo dello Yoga sarebbe poi di riuscire a portare questo modo di guardare, questa visione, al di fuori del tappetino, al di fuori dell'ora circa di pratica.
Di portarlo nel quotidiano.
Difficile sicuramente, a volte difficilissimo. Ma non impossibile, se pensiamo ai grandi yogini e yogin.
Questa simbologia del praticante che cambia modo di vedere non è a caso: se si osserva una persona nell'esecuzione di un āsana (di una posizione dello yoga) si può notare che, quando pratica in maniera pienamente concentrata e consapevole, il suo sguardo cambia. Il suo sguardo è fisso ma non si ferma a ciò su cui è diretto, va oltre.
Assomiglia ad uno sguardo un po' perso ma in realtà (come dice una yogini esperta ed appassionata che ho avuto la fortuna di avere come insegnante) lo "sguardo è proiettato verso l'infinito".
La concentrazione è tale che gli occhi vedono quello che hanno di fronte ma l'attenzione, la consapevolezza, non si ferma lì, è oltre, è più profonda.
Lo sguardo, infatti, dice molto di una persona, trasmette i suoi pensieri ed il suo stato d'animo.

Il potere di uno sguardo.
Tamil Nadu, 2007
Nella pratica della meditazione, nei momenti di interiorizzazione da seduti, all'inizio o alla fine di una sessione di yoga, gli occhi possono essere tenuti chiusi. In questo modo le distrazioni sensoriali si riducono e si favorisce la concentrazione.
Anche quando si mantiene una posizione dello yoga, se sufficientemente stabile, si possono chiudere gli occhi e coltivare così l'introspezione e l'attenzione al corpo, al respiro.
Un esercizio che si pratica invece da seduti ma con gli occhi aperti è trātaka, il fissare un oggetto con lo sguardo.
Solitamente si esegue fissando la fiamma di una candela posta a circa un metro, un metro e mezzo di distanza, per terra o all'altezza degli occhi, su di un tavolo. Si fissa la fiamma cercando di non sbattere le palpebre, fin quando si percepisce stanchezza negli occhi o lo stimolo della lacrimazione.
Si comincia praticando per pochi secondi e si aumenta gradualmente nel tempo.
Praticare con cautela.
Trātaka andrebbe eseguita senza occhiali o lenti. Migliora la vista e la capacità di concentrazione.
Nei testi antichi, trātaka è considerato uno shatkarman, un esercizio di purificazione.
Nella pratica delle posizioni di equilibrio è consigliato, per chi ne ha bisogno, di indossare gli occhiali o le lenti.
Portando lo sguardo ad un punto fisso, osservando cioè un punto davanti a noi, magari leggermente verso il basso, ci si aiuta notevolmente nella concentrazione e nell'equilibrio.
Si evita così di disperdere energie guardando qua e là e, trovando un punto di riferimento, si crea maggiore stabilità.
Se lo sguardo vaga, la mente lo segue. E probabilmente anche il corpo.
Un'alternativa è quella di socchiudere gli occhi: si lascia un filo di luce che entra, in modo da garantire il mantenimento dell'equilibrio ma anche ridurre le distrazioni causate dagli oggetti della vista.
A seconda delle tradizioni, vi sono indicazioni particolari su dove portare lo sguardo durante la pratica degli āsana, anche a seconda della specifica posizione che si sta mantenendo. In tal senso in sanscrito si parla di drishti, lo "sguardo focalizzato, concentrato".
Quando in meditazione si coltiva l'attitudine del testimone di sé stessi, dei propri pensieri, delle proprie sensazioni, si parla di drashta, in sanscrito "l'osservatore".
Drishti sono anche esercizi specifici per il benessere degli occhi.
Seduti in posizione comoda, con la schiena diritta ma rilassata, braccia e spalle morbide, si porta lo sguardo alla punta del naso o alla zona tra le due sopracciglia. Dopo alcuni secondi si riposano gli occhi, si chiudono le palpebre per un attimo e poi si sbattono ripetutamente prima di aprirle.
Praticando con regolarità, si può aumentare gradualmente la durata dell'esercizio.
Interrompere in presenza di qualsiasi disagio.
La pratica rafforza e rilassa i muscoli oculari.

Occhi del Buddha sulla porta di un tempio.
Nepal, 2009
In varie tradizioni esistono infatti esercizi specifici per la cura degli occhi e della vista, un vero e proprio Yoga degli occhi da eseguirsi sia regolarmente che in caso di disturbi specifici.
Un esercizio che mi piace molto e che inserisco sempre nelle mie classi di yoga, è quello del palming. Può essere eseguito dopo una sequenza di āsana, dopo il rilassamento da sdraiati o in qualsiasi momento.
Seduti in una posizione comoda, a gambe incrociate o in ginocchio, si rilassano bene le braccia, le spalle ed il collo. La schiena è diritta ma senza irrigidirsi.
Si sfregano i palmi delle mani tra di loro, fino a quando si produce calore.
Si chiudono gli occhi e si portano le mani a coppa sopra gli occhi, senza toccare con i palmi le palpebre.
Il calore si trasmette così dalle mani ai muscoli ed ai nervi oculari, favorendone il rilassamento.
Dopo circa un minuto, si riportano mani e braccia in una posizione comoda.
Ripetere un paio di volte.
All'ultima esecuzione, dopo aver mantenuto le mani a coppa sopra gli occhi, senza toccare le palpebre, si aprono gli occhi, si distanziano un poco le mani e si osservano per un istante i palmi.
Quindi si richiudono gli occhi e rilassando le braccia e si esegue qualche movimento libero per sciogliere le spalle, il collo e la schiena.

Sorridere con gli occhi.
Scuole delle Kalvarayan Hills,
Tamil Nadu 2008
In molti āsana si porta il corpo in posizioni che non assumiamo abitualmente.
Si cambia così la prospettiva e si guarda alle cose in un modo diverso, nuovo.
Scoprendo a volte aspetti altrimenti non visibili.
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