Lo Yoga e il cambiamento
- samuele rosso
- Mar 26, 2022
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"L’unica costante è il cambiamento".
Quando ci si dedica allo hatha-yoga con una certa costanza, per mesi o per anni, si instaura un rapporto a tre sul tappetino che coinvolge il corpo, la pratica svolta ed il Sè che osserva il corpo durante la pratica.
L’atteggiamento da assumere è infatti quello del “testimone” che osserva sé stesso e gli effetti della pratica che sta eseguendo.
Praticando a lungo con attenzione e dedizione, si diventa maggiormente consapevoli del proprio corpo, delle sensazioni, dei pensieri e delle emozioni che lo abitano.
Osservando sé stessi si scopre come questi elementi siano soggetti ad un continuo mutare: affinando la nostra capacità di percezione possiamo notare come il cambiamento sia in realtà l’unico fattore costante.
Cambia la flessibilità del nostro corpo, con la pratica, con l’età e con le stagioni. Persino con il momento della giornata: generalmente la sera, dopo aver attivato il corpo nell’arco della giornata durante le faccende quotidiane, si è più flessibili rispetto al mattino.
Cambia la capacità di concentrazione, a seconda del livello di energia e della qualità dei pensieri.
Cambia l’equilibrio, influenzato da molti fattori come la stanchezza e persino il meteo.
I cambiamenti che possiamo osservare durante la pratica non sempre sono positivi, o meglio, non sempre sono quelli che vorremmo vedere.
Per questo, uno dei fondamenti dello Yoga è vairâgya, il non-attaccamento ai frutti della pratica. La yogini e lo yogin si propongono cioè di praticare con costanza e con impegno ma senza aspettative, indipendentemente dai risultati che otterranno.
Può suonare come un paradosso, ma se si pratica “tanto per praticare”, purché con impegno e consapevolezza, si ritiene che i frutti di cui abbiamo bisogno, quando le condizioni saranno mature, arriveranno. Se al contrario si pratica mirando ad un preciso obiettivo, si finisce per creare delle forzature nel corpo e nella mente.
L’aspettativa prende il sopravvento.
Una pratica priva di desideri è più piacevole, ci rende liberi da attaccamenti e da pressioni. La concentrazione viene così mantenuta nel momento presente, senza proiettarsi verso obiettivi idealizzati e spesso difficilmente raggiungibili.
Inoltre, da non sottovalutare è la consapevolezza che i risultati che vorremmo ottenere non necessariamente corrispondo a quelli di cui avremmo realmente bisogno.
L’efficacia di vairâgya si può facilmente sperimentare nella pratica degli âsana: se nel mantenimento di una posizione si cerca di raggiungere un obiettivo non è disponibile al nostro corpo in quel momento, si finisce per forzare. Il corpo, come a difendersi, si irrigidisce, e la posizione diventa scomoda e difficile.
Se invece si procede gradualmente, cercando di rilassare al meglio il corpo e godendo della pratica di per sé, il corpo si ammorbidisce, diventa più flessibile e la posizione più comoda. La pratica diventa più profonda e quasi inaspettatamente con il tempo magari si otterranno dei progressi prima irraggiungibili.

Rangoli raffigurante Ganesha, divinità con la testa d'elefante a cui ci si affida per superare gli ostacoli e quando si intraprende qualcosa si nuovo.
Un supporto al cambiamento.
L’osservazione del corpo senza aspettative comporta una prospettiva libera dal giudizio: la pratica consiste nell’affinare le capacità di attenzione e di percezione senza giudicare se quello che osserviamo sia “buono” o “non buono”, parametri assolutamente relativi e variabili nel tempo. Lo scopo è piuttosto quello di sviluppare accettazione e gratitudine nei confronti del corpo, accettazione della sua condizione così com’è in questo preciso istante.
L’accettazione passa dalla consapevolezza che comunque tutto cambia: la condizione del corpo, i pensieri, le emozioni.
Si ritiene infatti che anche eseguendo ogni giorno lo stesso âsana, si può scoprire ogni volta qualcosa di diverso, sia come risultato di una progressione della capacità di osservazione, sia in relazione al costante mutare delle dimensioni fisica, psichica, emotiva.
Possiamo quindi dire che lo Yoga aiuta a divenire consapevoli dei cambiamenti e ad accettarli.
Accettare il cambiamento come inevitabile, perché soggetto alle leggi della natura.
Sicuramente non è facile.
Nella pratica dello Yoga, così come nella vita, tendiamo a voler cristallizzare le condizioni interne ed esterne. Tendiamo a trovare sicurezza nell’invariabilità e ad essere disturbati dall’imprevedibilità che il cambiamento comporta.
La pratica che svolgiamo sul tappetino ha lo scopo di abituarci a trovare rilassamento e comodità in posizioni che presentano un relativo grado di sforzo (muscolare per esempio) e quindi una relativa “scomodità”. Lo scopo è quello di abituarci all’adattamento, abituarci a lavorare sulle condizioni interne quando non possiamo intervenire su quelle esterne.
L’idea è di portare poi questa capacità al di fuori di quell’ora nella sala di Yoga e impiegarla nella vita di tutti giorni per “adattarci” alle situazioni di relativa “scomodità” che inevitabilmente incontreremo.
Quindi anche per abituarci ad accettare i cambiamenti che comunque arriveranno, con la consapevolezza che il cambiamento porta con sé difficoltà ma anche nuove opportunità.
La consapevolezza che “l’unica costante [della vita] è il cambiamento” attraversa tutte le culture, basti pensare che la frase viene attribuita tanto ad Eraclito quanto al Buddha.
L'accettazione del mutamento, dell'impermanenza intrinseca delle cose, si può riscontrare in molti contesti della prassi religiosa e non dell' India.
Al di là della varietà inevitabilmente presente in un Paese così vasto, mi piace per esempio trovarne traccia nella tradizione dei rangoli, l’arte di disegnare motivi geometrici e di fantasia usando petali, farina di riso, polvere di quarzo, ocra e sabbie colorate.
Con il termine viene indicata sia la creazione di questi disegni che la polvere utilizzata.
Solitamente i rangoli vengono realizzati quotidianamente fuori dalla soglia di casa, come gesto di buon auspicio per proteggere l’abitazione ed i suoi abitanti. Vengono inoltre disegnati durante i festival religiosi ed in prossimità delle iconografie religiose.
I materiali utilizzati hanno spesso anche la funzione di tenere lontani gli insetti.
Una visione comune per le strade dell’ India la mattina presto è quella delle donne che, dopo la pulizia, disegnano ai piedi della porta di casa complicati motivi ricchi di colore e di simbologie. Il gesto viene compiuto con grande attenzione e dedizione, nonostante si sappia bene che l’opera avrà vita breve. Molto probabilmente verrà distrutto in pochi minuti da qualche animale di passaggio, da una pioggia improvvisa o da un gruppo di ragazzi di corsa verso scuola.
Questa consapevolezza non costituisce però un ostacolo all’impegno profuso nel disegnare i rangoli, anzi, ben rappresenta la presenza e l'accettazione del concetto di “impermanenza” nella cultura dell’India. Quello stesso contesto nel quale si è sviluppata nell’arco di millenni la cultura dello Yoga.
L'accettazione del cambiamento non rappresenta però un assistere passivo ed impotente ad un destino che non possiamo influenzare. Significa piuttosto essere consapevoli che esistono leggi della natura alle quali siamo soggetti e che il controllo che spesso l'uomo vorrebbe avere su di essa non è realizzabile.

Festival di Rangoli
a Pondicherry,
India del sud.
Nella filosofia Samkhya, che costituisce la base teorica da cui si sviluppa lo Yoga, si ritiene che la Natura sia composta di attributi chiamati Guna.
Per Natura si intendono i 5 elementi di base che costituiscono il mondo “materiale” ma anche il nostro corpo e pure la nostra mente. Nella filosofia occidentale la mente viene considerata come qualcosa di non materiale mentre nel Samkhya viene inserita nei componenti della Natura: poiché cambia continuamente, è soggetta anch’essa al dominio dei Guna.
I tre Guna sono Rajas, principio dell’attività, del cambiamento e dell’energia, Tamas, principio dell’inattività e dell’inerzia, e Sattva, principio della manifestazione e della purezza.
Per caratteristica intrinseca della Natura, l’equilibrio tra questi Guna cambia continuamente, con uno che predomina alternativamente sugli altri due.
Il Guna predominante determina le qualità principali e le differenze tra un individuo e l’altro, tra una condizione e l’altra. Scopo dello Yoga è muovere l’esistenza verso il predominio di Sattva Guna, che è il principio della Realizzazione. Solo nella Realizzazione può arrivare la conoscenza che benché soggetti alla legge della Natura, la nostra vera essenza è altra, più sottile.


Rangoli a perdita d'occhio....
Le decorazioni ricche di colore sono
un elemento costante nei templi
dell' India.
Questi discorsi possono facilmente diventare complicati e magari indurre a pensare che lo Yoga sia in qualche modo un percorso religioso.
In realtà non è così. Lo Yoga può essere associato a qualsiasi religione si pratichi o anche a nessuna, in quanto costituisce un percorso verso il benessere, fisico e spirituale.
Sta a chi lo pratica decidere quale approccio adottare.
Non c'è nulla di limitante nel dedicarsi allo hatha-yoga per sentirsi bene, senza voler entrare nei risvolti filosofici.
Una pratica sincera produrrà comunque effetti benefici ed una rinnovata accettazione dei cambiamenti in noi ed intorno a noi.
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