Lo Yoga nelle mani
- samuele rosso
- Jan 16, 2022
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Le mudrâ: i "gesti" dello Yoga
Benché le mudrâ non siano l’aspetto più diffuso dello Yoga, oggigiorno la parola è diventata di uso comune grazie ai libri pubblicati, ad articoli e fotografie che si vedono spesso sulle riviste specializzate e non.
Non è così raro infatti imbattersi nell'immagine di una persona seduta in meditazione con le mani appoggiate sulle ginocchia, le dita che eseguono una mudrâ (verosimilmente con pollici ed indici uniti a formare un cerchio).
Vari sono i significati che si possono attribuire alla parola mudrâ, in conseguenza alle numerose ipotesi etimologiche identificate dagli studiosi.
Mudrâ (in sanscrito la parola è femminile) significa "sigillo, stampo, segno" ma anche "soldo, moneta, immagine stampata", dal sumero musar cioè "immagine regale, sigillo regale".
Ma alla parola viene anche attribuita la medesima radice del verbo sanscrito madyati: "essere felici, gioiosi, grati o inebriati".
Nella tradizione spirituale ed artistica del Subcontinente indiano, poi, mudrâ assume comunemente il significato di "gesto, atteggiamento, espressione e posizione".
Molteplici significati quindi, tutti validi e diversamente usati.
L'iconografia mitica e religiosa nata nel contesto in cui si svilupparono induismo, buddhismo e tradizioni yoghiche, fa un ampio uso della parola mudrâ intesa come una precisa disposizione delle dita delle mani (o di altre parti del corpo prese nella loro singolarità) oppure come una precisa posizione del corpo (considerato nel suo insieme), a cui vengono attribuiti valori simbolici e determinati effetti psico-fisici.
Basti pensare alle raffigurazione del Buddha, di Shiva o di altre divinità del pantheon induista, in cui non si può fare a meno di notare la posizione assunta dalle mani, spesso associata a significative espressioni facciali.
Si ritiene infatti che a determinati stati emotivi corrisponda una relativa gestualità delle mani.
Le mani, in tal senso, sono uno specchio della condizione interiore.
Osservando la posizione delle mani nelle statue del Buddha possiamo per esempio riconoscere la rappresentazione del momento in cui egli raggiunse il Risveglio: la mano sinistra è comodamente posata in grembo, la mano destra è rivolta in basso e sfiora con le dita la Terra, chiamandola a testimoniare l'avvenuta liberazione spirituale. Gli occhi sono socchiusi. La serenità pervade tutto il viso. Bhumisparsha mudrâ : il "gesto di toccare la terra".
Oppure, in altre raffigurazioni, possiamo riconoscere l'episodio in cui, secondo la tradizione, il demone Mâra cercò di spaventare il Buddha ed impedirne il raggiungimento del Nirvana: la mano destra è sollevata con il gomito piegato, le dita morbidamente distese, il palmo rivolto in avanti come a dire "Fermo! Io non ho paura". Gli occhi sono aperti, lo sguardo non vacilla.
Il viso esprime calma e fiducia. Questo particolare gesto si chiama abhaya-mudrâ, il "gesto che esprime l'assenza di paura" ed è diffuso anche nelle raffigurazione di Shiva, di Vishnu, Lakshmi, Ganesha. È un gesto di coraggio, che indica pace interiore e calma indipendentemente dalle condizioni esterne.
Sento una fascinazione particolare nei confronti di questa mudrâ. Mi piace l'attitudine distaccata ma consapevole che trasmette.

Il "gesto di toccare la terra",
Bhumisparsha mudrâ,
Phnom Penh, Cambogia

Abhaya mudrâ, il "gesto che esprime l'assenza di paura". Uttar Pradesh, India
Nell'iconografia la varietà di mudrâ è vasta: i testi classici parlano di 64 gesti che si possono eseguire con le mani, comunemente diffusi nella scultura, nella pittura, nella danza e nel teatro.
Spettacolare è il loro l'utilizzo nelle danze tradizionali dell' India e dell'isola di Bali, in cui la posizione delle mani e degli occhi costituisce un vero e proprio linguaggio che esprime emozioni, pensieri, intenzioni.
L'esecuzione delle mudrâ durante la danza conferisce eleganza e bellezza.
Se ne intuisce in questo contesto la radice comune della parola con il verbo sanscrito madyati: "essere felici, gioiosi, grati o inebriati".
La fascinazione che si prova nel guardare queste danzatrici e questi danzatori è un chiaro esempio di come nella comunicazione non verbale le movenze ed ai gesti compiuti con le mani diventino rilevanti.
Le mani sono d'altronde il veicolo del contatto, della comunicazione, della relazione con gli altri.

Danzatrici a Semarapura, isola di Bali, Indonesia
Nello Yoga, le mudrâ non solo costituiscono un veicolo espressivo e simbolico ma assumono valenze pratiche se non addirittura terapeutiche. Secondo la fisiologia sottile propria dello yoga (quella cioè che riconosce i canali e gli organi sottili attraverso cui si muove l'energia) il prâna si muove nel corpo suddiviso in aree, in flussi, ciascuno secondo funzioni e caratteristiche diverse. Il prâna è l'energia vitale sottile, conosciuta in molte culture, chiamata per esempio qi in Cina, ki in Giappone, ci o gi in Corea, khi in Vietnam.
Questi flussi di prâna (chiamati vayu) sono in relazione a diverse parti del corpo ed anche a diverse parti delle mani: ogni dito corrisponde ad un diverso vayu.
A seconda della posizione assunta dalle dita in una mudrâ si vanno quindi a stimolare diversi flussi di energia e diverse funzioni nel corpo.
Nello yoga, con la parola mudrâ si indicano anche pratiche in cui si assume una particolare posizione degli occhi, della lingua o di tutto il corpo. Questi gesti vengono riconosciuti per la loro capacità di stimolare ed equilibrare l'energia sottile.
Per esempio, la posizione conosciuta come Viparità Karani viene definita come "l'atto, il gesto di capovolgersi". Un gesto, quindi una mudrâ.
Si ritiene che questo âsana abbia particolari effetti sulle energie sottili presenti nel corpo e sulla loro stimolazione.
Altre mudrâ del corpo diffuse nelle varie tradizioni sono: maha-mudrâ (il grande gesto, il grande sigillo), yoga-mudrâ (il gesto dello yoga), Brahmâ-mudrâ (il gesto di Brahmâ), ed altri ancora.

Viparita Karani, il "gesto di capovolgersi".
Una mudrâ del corpo
Anche nelle pratiche meditative viene data particolare importanza alla posizione delle mani, sistemate in modo da poter rilassare le spalle, le braccia, il collo. Se il corpo è comodo allora non crea disturbo, non causa distrazione alla mente e quindi alla capacità di concentrarsi.
Per esempio si possono appoggiare i palmi sulle ginocchia, piegando leggermente i gomiti e rilassando le spalle. Oppure si posano i dorsi delle mani, sulle ginocchia, rivolgendo i palmi aperti verso l'altro. O un altra opzione ancora è quella di sovrapporre le mani, appoggiandole in grembo con il dorso della mano destra sopra il palmo della sinistra, i due pollici a contatto. Quest'ultima è chiamata dhyana-mudrâ, il "gesto del raccoglimento".

Statua del Buddha che medita con le mani in grembo in dhyana-mudrâ, Pokhara, Nepal

Meditazione con le mani in Cin-mudrâ,
il "gesto della riflessione"
Chin mudrâ (chiamato anche Jnana-mudrâ, il "gesto della conoscenza": le tradizioni differiscono a seconda dei palmi rivolti verso l'alto o verso il basso...) è la mudrâ per antonomasia. Il gesto simboleggia il collegamento tra coscienza umana e divina, tra microcosmo e macrocosmo. Le tre dita distese rappresentano i tra guna, le tre qualità della natura ( e della materia) conosciute anche nell'ayurveda, la medicina tradizionale indiana. Il cerchio formato da indici e pollici rappresenta lo scopo dello Yoga: l'unione, l'equilibrio. Si ritiene che questa mudrâ promuova la calma e la concentrazione.
Esistono dei veri e propri manuali, facilmente reperibili in libreria, riguardo alle varie mudrâ del corpo, degli occhi e soprattutto delle mani.
Le mudrâ delle mani si possono eseguire non soltanto nelle sedute meditative ma anche in abbinamento alle pratiche di prânâyâma (tecniche di controllo del respiro) e durante il mantenimento degli âsana, le posizioni dello yoga.
Nelle pratiche di prânâyâma, mantenere una mudrâ con le mani può stimolare la concentrazione sul respiro ed il rilassamento.
Durante il mantenimento degli âsana, una mudrâ produce effetti sulla capacità di portare l'attenzione al corpo e di rilassarlo.
Non solo.
Così come si diceva per la danza, dove le mudrâ conferiscono eleganza e bellezza ai praticanti, questo è valido anche per l'hatha-yoga.
Una mia insegnante ritiene che: "Se non sapete cosa fare di una mano durante il mantenimento di un âsana, allora eseguite una mudrâ !". A me sembra un ottimo consiglio.
La pratica ne trarrà beneficio nei suoi vari apsetti.
L'âsana risulterà più armonioso.
Se il gesto viene eseguito con naturalezza non ha infatti niente a che vedere con gli stereotipi delle immagini ritratte sulle copertine patinate delle riviste, dove si vede magari una persona particolarmente flessibile e bella che pratica delle posizioni difficilmente raggiungibili ai più, oppure una persona seduta in meditazione su di una roccia circondata da paesaggi fiabeschi, con le mani che eseguono chin-mudrâ.
Nella massificazione dello yoga si è perso il significato profondo di questi gesti, mirati a stimolare calma e concentrazione, senza la pretesa di racchiudere effetti miracolosi.
Ma senza dubbio la loro pratica racchiude dei benefici.
Portare l'attenzione alle mani durante la seduta dello yoga è un ulteriore modo per rimanere consapevoli al meglio del proprio corpo, della sua condizione e di tutti quei movimenti, grandi e piccoli, che si stanno eseguendo.
Così facendo si rimane maggiormente coinvolti e presenti durante la pratica.
Lo yoga è un veicolo per dialogare con e attraverso il corpo ed in questo dialogo l'uso delle mani può aggiungere significati profondi.

Anjali-mudrâ, il saluto a palmi uniti, il gesto della pace. Bangkok, Thailandia
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