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Matsyasana, la posizione del pesce

La posizione che apre la gola ed il cuore.


La figura del pesce ha forti valenze simboliche in molte culture.

Tradizionalmente il pesce rappresenta la fertilità, per le molte uova che produce, ed è spesso simbolo della vita stessa: le prime forme viventi si svilupparono negli oceani e la presenza di acqua (e del cibo in essa contenuto) è strettamente legata all’evoluzione delle civiltà.

I mari con le loro profondità sono da sempre fonte di mistero, di repulsione e di attrazione per gli uomini, che li hanno solcati in lungo ed in largo ma mai completamente esplorati.

I pesci rappresentano pertanto un elemento estremamente affascinante: l’attrazione e l’invidia per gli uccelli hanno ispirato l’umanità ad inventare strumenti che permettessero di volare ma l’osservazione e lo studio dei pesci non sono stati (almeno finora) sufficienti all’esplorazione degli abissi marini e dei suoi segreti.

In tal senso il pesce viene associato alle profondità del sub-conscio, quel reame con cui l’uomo è costantemente in contatto ma non sempre in modo cosciente o voluto.

Una sorta di zona d’ombra nella quale muoversi con cautela e rispetto.


Nella cultura e nella filosofia dell’India antica, il pesce rappresentava uno degli elementi primari da cui trarre insegnamenti etici e pratici. Un archetipo che racchiude in sé la valenza di una legge morale che guidi l’uomo nel suo cammino terreno.

Matsya Nyaya è la “legge del pesce”, di cui abbiamo una prima traccia nel trattato politico e sociale Arthashastra, formulato in India intorno al II-I sec. A.C.

Nei mari, il pesce grande mangia il pesce più piccolo, così come nella giungla il predatore si nutre dell’animale più indifeso: è la legge della natura per cui il più forte sopraffà il più debole.

L’uomo, benché anch’esso parte della natura, è chiamato a distinguersi adottando la legge del Dharma, che insegna come il più forte deve aiutare il più debole, il quale, grazie al sostegno ricevuto, avrà la possibilità di aiutare a sua volta qualcun’ altro in difficoltà.

La legge del Dharma si contrappone quindi alla legge del pesce e regola i rapporti umani permettendo all’evoluzione ed all’equilibrio di avere il sopravvento su caos e dissoluzione.


L'etica non è separata dalle pratiche yoghiche, anche da quelle più fisiche: ciò che succede nella mente, nelle intenzioni, succede anche nel corpo. E viceversa.

D’altronde fu proprio un pesce il primo animale a seguire gli insegnamenti dello Yoga.

Una delle molte versioni del mito narra di come Shiva fosse intento a trasmettere i segreti dello Yoga alla moglie Parvati, in riva al mare: questa disciplina era considerata sacra e poteva venire tramandata a pochi eletti. (Secondo alcune versioni, in realtà Parvati conosceva già a fondo lo Yoga e lo praticava da tempi immemori ma per non deludere le ambizioni del marito si prestò all'ascolto).

Un pesce di passaggio si fermò incuriosito e venne rapito dal fascino degli insegnamenti. Finché Shiva scoprì la sua presenza, andando in collera per l’inganno. Ma si accorse anche di come gli insegnamenti avessero contribuito all’evoluzione del pesce.

Decise così di trasformarlo in un uomo e di inviarlo sulla terra per diffondere i benefici dello Yoga.

Questa è l’origine della figura del saggio Matsyendra, considerato fondatore dello hatha-yoga e verosimilmente ispirato ad un personaggio storico vissuto nel Bengala intorno al X secolo.

Altro mito basato sulla figura del pesce è quello di Manu, considerato nei testi vedici il progenitore dell’umanità: basti notare come la parola sanscrita che indica “umano” significhi letteralmente “figlio di Manu”. La leggenda narra di come Manu abbia salvato ed accudito un pesce, spostandolo in un recipiente pieno d’acqua sempre più grosso man mano che il pesce cresceva. L’animale raggiunse infine dimensioni così grandi che Manu decise di liberarlo in mare.

Piogge torrenziali vennero ad inondare le terre e quando l’acqua tutto travolse il pesce, divenuto ormai gigantesco, tornò per salvare Manu, le sementi e gli animali più preziosi.

Un parallelismo evidente con l'Arca di Noè.


Matsyasana è considerata una posizione media o avanzata ma come tutti gli âsana può essere praticato a diversi livelli adottando varianti e precauzioni.

L’esecuzione comporta un' importante flessione indietro della schiena e del collo e va pertanto evitata o mantenuta per il minor tempo possibile in presenza di patologie o disfunzioni che coinvolgono la colonna vertebrale.

Un intenso inarcamento della schiena va sempre compensato con un piegamento in avanti e con una chiusura della gola: per i suoi effetti sulla gola e sulla tiroide la pratica di Matsyasana viene tradizionalmente abbinata a posizioni come Halasana (l’aratro), Sarvangasana (la candela) o Paschimottanasana (la pinza).


Sdraiati supini sul tappetino, si possono innanzitutto adottare due diverse posizioni con le gambe, mantenendole distese ed unite o portandole incrociate come quando ci si siede in meditazione. Con le gambe distese si allunga bene il collo dei piedi come a voler toccare il pavimento con le punte e si riesce a creare maggiore spinta per l'apertura del torso.

Il nome della posizione deriva probabilmente dalla fisionomia del corpo nella variante a gambe incrociate, con le ginocchia che rappresentano la coda del pesce e la zona dall'addome alla testa che raffigura il dorso dell'animale.

L’inarcamento parte sempre dall’apertura del petto: è lo sterno che spinge verso l’alto con la pressione sulle braccia che aiuta a sollevare il busto, mentre la testa ed il collo ruotano indietro senza sforzo e tensione.

Le braccia sono piegate, gomiti ed avambracci a terra: nella versione più semplice, preparando la posizione si solleva il coccige per portare le mani sotto le natiche, palmi a terra e dita ben distese. Con il bacino leggermente sollevato si riduce la flessione indietro e si ottime maggiore spinta per sollevare il tronco.

Altrimenti le mani possono essere tenute sopra le cosce.

Con una profonda inspirazione si stacca la parte alta della schiena da terra, aprendo le spalle e spingendo con il petto verso il soffitto: di conseguenza la schiena si inarca e la testa può scivolare facendo ruotare dolcemente il collo indietro. La sommità del capo può rimanere sollevata o a contatto con il tappetino ma non c’è peso a gravare sulle cervicali. Aprendo bene la zona del cuore si mantiene la posizione attraverso la spinta dello sterno verso l’alto. Le braccia aiutano a scaricare il peso del corpo a terra. Con le gambe distese si riesce a sfruttare l’attivazione dei muscoli dalle caviglie alle natiche.

Si può mantenere la posizione per qualche respiro concentrando l'attenzione sulla zona del cuore.

Espirando, lentamente si appoggia la colonna a terra dalle lombari fino alle cervicali, riducendo gradualmente l'inarcamento e la spinta di braccia e gambe, fino a tornare sdraiati supini.

Si riposa per qualche istante, lasciando che il respiro ed il battito cardiaco si normalizzino, per poi continuare con la posizione di compensazione.


Si può praticare Matsyasana in una variante in cui può essere mantenuta più a lungo grazie al supporto di un bolster, un cuscino dalla forma cilindrica, lavorando attraverso la respirazione profonda sul rilassamento e su di una apertura più dolce ma comunque efficace del petto e delle spalle.

Il bolster viene così posizionato nella sua lunghezza a sostenere il corpo, dalla zona lombare fino al capo, lasciando il bacino ben adagiato sul pavimento. Braccia e gambe possono rimanere rilassate e la testa viene leggermente reclinata indietro.

La pratica di Matsyasana aiuta a migliorare la flessibilità della colonna e tonifica i muscoli dorsali ed addominali. L'apertura del petto ha effetti positivi sulla respirazione promuovendo l'allungamento dei muscoli intercostali.

Lo stiramento della gola stimola la tiroide ma non è ben definito se promuova ipotiroidismo o ipertiroidismo: pertanto è consigliato compensare con una chiusura in modo da ottenere un effetto equilibrante.

A livello sottile la zona della gola è associata aVishuddha chakra e quindi alla capacità di esprimersi a tutti i livelli.

Tra gli effetti psicosomatici dell'ansia si parla della percezione di avere un "nodo alla gola": questo nodo è una difficoltà a liberare le proprie emozioni ed a tramettere agli altri i propri pensieri.

Un'esecuzione di Matsyasana in cui si lavora soprattutto sulla respirazione profonda aiuta a ridurre l'ansia ed a limitarne gli effetti associati: stirando la gola ed aprendo la zona del cuore si trova poco per volta la capacità di esporsi e di esprimersi.

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