Setubandha-âsana, il ponte tra due sponde
- samuele rosso
- Nov 1, 2021
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La posizione del ponte
Setubandha è la posizione del ponte, dal sanscrito "costruzione (bandha) di un ponte" (setu), ma in altre tradizioni dello yoga viene definita come "posizione del mezzo ponte".
Per eseguirla ci si porta sdraiati supini sul tappetino, con la schiena adagiata a terra e le gambe inizialmente distese. Si sistema bene il corpo, rilassando le spalle e cercando di distendere la zona del collo, senza creare tensioni.
La respirazione viene eseguita attraverso il naso.
La consapevolezza ai punti di contatto tra la schiena ed il tappetino.
Si piegano entrambe le gambe portando le piante dei piedi a terra, i talloni vicini ai glutei, le caviglie sulla perpendicolare delle ginocchia, i piedi separati come la larghezza del bacino, le braccia distese parallele al corpo ed i palmi delle mani rivolti in basso.
Con una inspirazione si stacca il sacro da terra e si spinge il bacino verso l'alto, cercando di salire il più possibile ma senza forzare. Il petto si espande favorendo l'inarcamento della schiena, il corpo è in appoggio sui piedi e sulle spalle.
Il collo dovrebbe rimanere rilassato .

Espirando, lentamente si scende con l'intenzione di appoggiare gradualmente la schiena, immaginando di srotolare la colonna a terra come se fosse un tappeto.
Un paio di respiri a riposo prima di ripetere.
Alla terza ripetizione, si può rimanere nella posizione statica del ponte, portando l'attenzione al respiro, alle sensazioni corporee, agli effetti della pratica.
È importante aprire bene il petto e le spalle per bilanciare la spinta delle gambe e trovare un equilibrio che permetta una relativa comodità.
Si possono piegare i gomiti e portare le mani a sostegno del bacino, sostenendo la parte bassa della schiena, appena sotto i reni. In questo modo si va a scaricare un po' di peso dalle spalle e si riesce a ridurre il lavoro dei muscoli dorsali.
In questa versione si parla di "posizione del ponte sostenuto".
Altrimenti, si possono mantenere le braccia parallele (come nella foto) o incrociare la dita delle mani a terra, sotto il bacino.
Quando si vuole scendere, lo si fa espirando e cercando di rendere la discesa più lenta il possibile: l'idea è, ancora, quella di "srotolare" gradualmente la schiena, come se si stesse appoggiando a terra una vertebra per volta. Espirando si appoggia una prima porzione di colonna, immaginando di appoggiare 4/5 vertebre, ci si ferma ad inspirare e, quindi, con l'espirazione si ricomincia a scendere. Ci si ferma ogni qualvolta si senta il bisogno di inspirare. In questo modo si dovrebbe frammentare la discesa in 5 o 6 movimenti, fino ad arrivare con il bacino a terra, la colonna distesa e la schiena completamente appoggiata sul pavimento: i punti di contatto tra i due potrebbero essere maggiori rispetto a quanti percepiti prima della pratica, con la schiena che per effetto dello "srotolamento" ha ridotto le sue curve naturali.
Cercare di mantenere questa postura per un paio di respiri prima di rilassare completamente e distendere le gambe.
La pratica di setubandha rafforza i muscoli dorsali; promuove l'apertura di petto e spalle, la mobilità delle scapole; stimola la circolazione della zona pelvica e lombare.
Nella posizione si vanno inoltre a massaggiare, attraverso il respiro, gli organi addominali e la zona dei reni.
Setubhanda-āsana può essere bilanciato andando ad abbracciare le ginocchia al petto (con entrambe le braccia) e rimanendo così per qualche respiro, alternando quindi un inarcamento ad una flessione della colonna.
Se la posizione del ponte viene mantenuta oltre i 10 respiri, è bene compensare con Matsyasana (la posizione del pesce) o con un altro āsana che permetta un' apertura della gola. Lavorando con chiusura ed estensione della gola si va infatti ad equilibrare le funzioni della tiroide.
Pare non essere ben stabilita la relazione tra stimolazione/inibizione della tiroide ed apertura/chiusura della gola: pertanto è sempre bene compensare con entrambi i movimenti per garantirsi una pratica bilanciata ed armonica.
Il ponte costituisce un simbolo ben presente in molte culture, sia nell'ambito religioso che in quello laico.
Basti pensare a quante città vengono immediatamente associate ai ponti che le caratterizzano: Londra, Firenze, Mostar, San Francisco, Venezia, New York...
La costruzione di un nuovo ponte costituisce motivo di interesse e stupore non solo per gli architetti: emoziona molti per la sua sua capacità di connettere e di slanciarsi oltre il vuoto.
Il ponte permette di spostarsi da un luogo ad un altro, superando un ostacolo naturale.
Per questo rappresenta bene la capacità di andare oltre, di superare le difficoltà e di muoversi verso un cambiamento: una volta attraversato il ponte si è già dall'altra parte, in una qualche misura si è cambiati, non solo fisicamente.
I cambiamenti, i passaggi da una fase all'altra della vita si possono immaginare come attraversamenti di ponti, che collegano il passato al presente ma allo stesso tempo demarcano un cambiamento da quello che si era a quello che si è divenuti.
Nella pratica di qualsiasi āsana, ci immedesimiamo nel valore simbolico della posizione per appropriarci delle sue caratteristiche.
In setubandha-āsana "incarniamo" (o "incorporiamo"?) il ponte e riflettiamo sulla capacità umana di cambiare, di andare oltre gli ostacoli.
Inoltre, nella posizione "costruiamo un ponte" tra i piedi e le spalle, tra la parte bassa e la parte alta del corpo. I piedi sono associati al radicamento: "avere i piedi ben piantati a terra" vuol dire essere stabili, solidi. La parte alta del corpo è invece associata al pensiero, alla fantasia, alle dimensioni più sottili e spirituali dell'individuo: "avere la testa tra le nuvole" vuol dire essere troppo nei pensieri, troppo poco sulla terra.
Collegando queste due parti del corpo nella pratica di setubandha-āsana, andiamo a stimolare un' armonia in cui proprio perché ben saldi, ben radicati a terra, ci si può slanciare verso l'alto (in senso sia fisico che "sottile"), senza perdere l'equilibrio.
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