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Shavasana: quanto è difficile lasciarsi andare?

Shavasana è una delle posizioni più diffuse nelle varie scuole di Yoga, comune a tradizioni anche ben diverse tra di loro e fondamento nella pratica di rilassamento.

In sanscrito shava significa cadavere e l'appellativo "posizione del cadavere" spaventa spesso i praticanti. Non c'è nulla di macabro però nel nome, che ci indirizza invece sul concetto della totale immobilità.

Shavasana è una posizione di arresa, di abbandono.

Sdraiati a terra supini, con le gambe distese ed i talloni separati di circa 20\30 cm, si ruotano le punte dei piedi verso l'esterno per favorire l'apertura delle anche.

Le braccia vanno distese lungo il corpo, leggermente divaricate ed i palmi delle mani ruotati verso l'alto in modo da aprire bene le spalle ed espandere il petto.

Si sistema sul tappetino la schiena in modo che sia aderente al suolo, con le spalle rilassate ed il collo disteso, magari in seguito ad una leggera flessione del mento verso lo sterno.

Si eseguono tutti gli aggiustamenti necessari per portare il corpo in una condizione comoda, in modo da poter rimanere perfettamente immobili per qualche minuto.


Non c'è bisogno di attivare alcun muscolo per rimanere in Shavasana, c'è solo bisogno di rilassare completamente. E proprio in questo si presenta la complessità della sua pratica.

A differenza di quanto si possa pensare osservandola dall'esterno, Shavasana è una posizione difficile.

Difficile è lasciar andare completamente anche la benché minima tensione muscolare e gli atteggiamenti posturali inconsci.

Difficile è rimanere immobili e rilassarsi completamente, con fiducia.

In questa posizione, infatti, si espongono indifese alcune parti vitali come la gola ed il ventre, zone del corpo che "contengono" organi essenziali alla vita.

Pensiamo ad un animale domestico come il gatto o il cane che espongono queste zone vitali alle nostre carezze perché ci conoscono bene, perché totalmente fiduciosi che non faremmo loro alcun male.

A livello inconscio questa esposizione durante la pratica di Shavasana può constituire un freno al rilassamento.


Anche le mani in questa postura assumono una posizione significativa: i palmi sono rivolti verso l'alto, aperti, come nell'atto di offrire o di ricevere, disposti ad uno scambio reciproco, e non rivolti verso il basso come nel gesto di trattenere o di controllare.


Per accomodarci nella posizione possiamo partire con le ginocchia piegate per qualche respiro per poi distenderle lentamente, aiutando la schiena (soprattutto la zona lombare) ad appiattirsi ed aderire al pavimento.

Durante la pratica occorre fare attenzione a mantenere il corpo caldo, magari coprendosi con una copertina: soprattutto con le braccia distese ed allargate, le mani potrebbero fuoriuscire dal tappetino e rimanere a contatto con il pavimento, diventando fredde e creando distrazione.


Sdraiati in Shavasana portiamo l'attenzione al respiro ed alle sensazioni corporee cercando di mantenere la mente concentrata sul momento presente.


Nella pratica di Shavasana possiamo sperimentare le caratteristiche che dovrebbero essere presenti in tutti gli āsana: shtira e sukham, dal sanscrito "stabilità" e "comodità".

Con shtira si intende sia la stabilità nel mantenimento della posizione, utilizzando il minimo dispendio energetico possibile, sia la stabilità della concentrazione, focalizzata sul respiro e sulle sensazioni corporee.

Con sukham si intende la comodità come condizione confortevole che non arreca distrazione alla mente.

 
 
 

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