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Vîrabhadra-âsana, la posizione del guerriero

Vîrabhadra-âsana è molto popolare tra le pratiche di hatha-yoga e solitamente viene indicato con il nome di “posizione del guerriero”.

A prima vista, però, la figura del “guerriero” ha ben poco a che fare con il contesto dello Yoga, associato prevalentemente a virtù come la calma e la benevolenza.

Perché, quindi, questo nome?

Letteralmente, in sanscrito, vîra indica “eroe, coraggioso” mentre badhra significa “bravo, gentile, eccellente" o anche "benedetto”.

L’unione dei due termini forma il nome proprio Vîrabadhra che è, una delle manifestazioni di Shiva nella sua forma furiosa e distruttiva.

Il mito racconta dell’amore tra la giovane Sati ed il dio Shiva, al quale si oppose il padre di lei, il re Daksha, rifiutando di concederla in sposa. Nel corso di una importante festività religiosa, Daksha insultò ed umiliò la coppia clandestina che, benché non invitata, si presentò alla dimora del re per le cerimonie.

Distrutta dalla vergogna, la fanciulla decise di immolarsi nel fuoco sacrificale allestito per l’occorrenza. Accecato dal dolore e dalla rabbia, Shiva si strappò una ciocca di capelli da cui nacque il guerriero Vîrabadhra, sua emanazione terribile. Preso da furia incontrollata, il guerriero distrusse la dimora e con la sua spada mozzò la testa del re.

Riacquistato il senno, Shiva realizzò la tragedia compiutasi ed inviò Vîrabadhra a prelevare la testa del primo animale che avesse incontrato, per restituire con essa la vita al re Daksha.

Similmente alla storia di Ganesha e dell’’elefante, qui è un caprone che riporta in vita il malcapitato.

Come spesso succede nella mitologia hindû, diversi elementi si combinano a creare una racconto farcito di odio, violenza ma anche perdono e compassione.

Le vicende narrate presentano i protagonisti in comportamenti ambivalenti se non addirittura opposti, quasi a scardinare la logica consueta ed a spingere lo spettatore/ascoltatore a trascendere la visione dogmatica del mondo.

Anche nella Bhagavad-Gîtâ, pilastro della cultura indiana e poema nel quale si trovano alcune tra le definizioni più profonde di Yoga, le narrazioni di guerra e di guerrieri vengono utilizzate come metafore della lotta interiore, tra l’essere umano ed i suoi istinti, pulsioni, emozioni più profondi.

Shiva medesimo è spesso protagonista di gesti estremi e apparentemente inappropriati ma la distruzione che egli stesso rappresenta è sempre votata al rinnovamento, in un binomio in cui l’armonia si crea nell’equilibrio tra le coppie di opposti. Non ci può essere evoluzione se non si abbandonano, e quindi simbolicamente si distruggono, le convinzioni pre-esistenti.

Simbolicamente, nella posizione di Vîrabhadra si coltiva la concentrazione e la presenza nel momento: un guerriero non può scendere sul campo di battaglia se la sua mente è altrove, distratta dal turbinio dei pensieri; un guerriero non può combattere efficacemente se corpo e mente non sono in sintonia; un guerriero non è vittorioso se il suo corpo non è ben allenato, il suo equilibrio stabile ed il respiro controllato.

In tal senso l’esecuzione di un âsana si avvicina tecnicamente a molte discipline marziali orientali in cui la pratica e l’allenamento non sono mirati allo scontro con un nemico esterno ma al controllo delle pulsioni interne.


Tradizionalmente, la posizione si è diffusa in due versioni chiamate Vîrabhadra I e Vîrabadhra II: pratica con le braccia aperte e parallele al pavimento e pratica col braccia distese verso l’alto.

Vîrabhadra I e Vîrabadhra II


Comuni sono poi altre varianti, come Vîrabhadra III (posizione di equilibrio su una gamba) ed inarcamenti indietro dalla posizione di partenza, probabilmente evoluzioni successive delle due principali.

Variante che incrementa l'inarcamento della colonna


Nell’esecuzione di Vîrabhadra I e Vîrabadhra II possiamo riconoscere la messa in atto di due momenti propri del racconto mitologico: quando il guerriero accecato dall’ira solleva la spada prima di colpire, nella variante a braccia distese verso l’alto, e quando affonda il colpo per uccidere il re Daksha, nella posizione a braccia aperte all’altezza delle spalle.

Interessante notare come il fondamento della pratica sia nella stabilità delle gambe e del bacino, assumendo quella posizione che nella scherma viene indicata come “affondo": nell'esecuzione sportiva l'affondo viene portato all'estremo grazie ad un allenamento costante e mirato, riuscendo ad abbassare il bacino ed il baricentro quasi a sfiorare terra. Per fare ciò occorre aumentare l'apertura delle gambe senza compromettere la posizione del ginocchio piegato.


Nella pratica diVîrabhadra-âsana I si parte dalla posizione eretta, con i piedi paralleli e leggermente separati, il corpo ben allineato. A piccoli passi si divaricano le gambe fino a formare un triangolo equilatero: la distanza tra i piedi dovrebbe essere uguale alla lunghezza delle gambe.

Inspirando, si ruota il piede destro di 90 gradi verso destra; si ruota quindi il sinistro leggermente verso l’interno, circa di 30 gradi, in modo da trovare un appoggio stabile in cui tutte le dita siano aderenti al tappetino. La gamba posteriore (in questa caso la sinistra) rimane infatti distesa con i muscoli che vengono ben attivati eseguendo una leggera spinta verso terra con il piede.

Inspirando, si sollevano le braccia fino a distenderle parallele al pavimento, i palmi rivolti verso terra. Ruotando lentamente il capo si controlla la posizione del braccio posteriore, quindi si porta lo sguardo alla mano destra.

Ancora inspirando, si apre bene il petto e si rilassano le spalle, in modo da ammorbidire i muscoli del collo. Espirando, si flette infine il ginocchio destro, fino a formare al massimo un angolo di 90 gradi tra coscia e polpaccio, senza andare con la rotula oltre la perpendicolare della caviglia.

Molto importante è mantenere gran parte del peso sulla gamba posteriore durante tutta l’esecuzione, idealmente il 60% del peso. È bene insistere su questo punto in quanto, almeno inizialmente, viene spontaneo nell’affondo spostare il baricentro verso la gamba piegata, andando a gravare sull’anca e sul ginocchio.

Pertanto, risulta fondamentale distanziare sufficientemente i piedi in modo da abbassare il bacino invece di traslare il peso verso la gamba piegata.

La posizione può essere mantenuta per qualche minuto, incrementando con la pratica ed il tempo. La respirazione avviene attraverso il naso. Lo sguardo fisso alla mano destra aiuta la concentrazione e l'equilibrio.

Per tornare, inspirando si distende la gamba destra, espirando si abbassano le braccia. Inspirando si ruota il piede destro di 90 gradi verso l'interno, quindi si riporta il sinistro nella posizione di partenza.

A piccoli passi, si riavvicinano i piedi. Sciogliere le gambe e le braccia prima di ripetere nella direzione opposta, invertendo la posizione di gambe, braccia e testa.

Prima di eseguire verso sinistra, ascoltare gli effetti sottili della pratica ed eventuali differenze nelle sensazioni tra la parte destra e la parte sinistra del corpo.


La pratica di Vîrabhadra-âsana I contribuisce a rafforzare i muscoli delle gambe e delle braccia, migliora la postura del petto e delle spalle, lavorando sull'apertura della zona del cuore: ritroviamo anche qui la valenza simbolica della figura del guerriero che affronta i suoi nemici non solo a viso aperto ma anche a petto aperto, senza paura e con uno slancio basato sulla fiducia.

La posizione aiuta inoltre a coltivare l'equilibrio e la propriocezione, la percezione cioè di come il nostro corpo è disposto nello spazio, soprattutto cercando di sentire (e quindi di mantenere) il braccio posteriore parallelo al suolo.


La variante di Vîrabhadra-âsana II presenta i medesimi benefici diVîrabhadra I.

È opportuno però considerare come la sua esecuzione comporti un lavoro intenso con la colonna vertebrale, dovuto sia all'inarcamento della schiena che alla posizione della testa.

Pertanto è importante mantenere il rachide in allungamento, in modo da favorire il distanziamento delle vertebre ed evitare la compressione dei dischi.

Il piegamento indietro viene realizzato sfruttando non tanto la mobilità della colonna ma piuttosto la spinta in alto ed in fuori dello sterno, che produce l'apertura del petto.

La stessa meccanica viene applicata per il collo: invece di limitarsi a piegare indietro la testa, rischiando di schiacciare le cervicali, è bene spingere verso l'alto con il mento.

Con lo sguardo rivolto in sù aumenta anche il lavoro di propriocezione necessario per mantenere equilibrio e stabilità nella posizione.


Una pratica per combinare le due varianti può essere quella di partire da Vîrabhadra-âsana I per poi, inspirando, inarcare la schiena e distendere le braccia verso l'alto, portandosi così nella variante II.

Di qui, espirando, si può tornare nel "Guerriero I" per qualche istante ancora, prima di sciogliere la posizione e di rilassare. Quindi, si ripete allo stesso modo sull'altro lato.


L'immedesimazione nell'archetipo del guerriero durante la pratica stimola la concentrazione e la stabilità. Come sottolineato sopra, un guerriero non può scendere sul campo di battaglia se la sua mente è altrove, distratta.

Fermi nella posizione, l'attenzione viene indirizzata al momento presente: il braccio in avanti, verso il quale è rivolto lo sguardo, rappresenta il futuro, il braccio indietro simboleggia il passato.

Il praticante si trova così con la consapevolezza (con il cuore e con la mente, con il busto e con la testa) esattamente a metà tra i due, nel qui e ora.

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